“Bella ma ci vivrei” – Partecipa all’inchiesta!

“Bella ma ci vivrei” – Take the survey!

Dibattito con i curatori del libro “la Venezia che vorrei”, Elisabetta Tiveron e Cristiano Dorigo. 18 giugno 2019

Nel 2018 Cristiano Dorigo e Elisabetta Tiveron hanno pubblicato per Helvetia Editrice una raccolta di testi al titolo La Venezia che vorrei, che delineano una serie di visioni in prospettiva della città di Venezia offerte da abitanti e immigrati, i quali cercano in Venezia – al di là dei suoi enormi problemi contingenti – un modello di vita, “sostenibile” si direbbe oggi, ovvero capace di configurare un futuro positivo per una città da tanti ammirata ed amata ma che spesso ci/si rifiuta.

“Bella ma ci vivrei”, appunto, recita il bel calembour inventato dal gruppo LISC, cui si è voluto ispirare anche il nostro lavoro.

Riproduco qui sotto la prefazione di quel libro, che spiega esaurientemente il progetto editoriale e ne propone esplicitamente l’espansione, chiamando a raccolta i lettori stessi del libro, affinché esprimano essi stessi: quello che a Venezia c’è, quello che manca, cosa si potrebbe fare.

Ho pensato quindi di proporre agli studenti delle università veneziane e in particolare a quelli che si accingono ad affrontare progettualmente il tema di Venezia città sostenibile proposto dal Wa.Ve 2019 un primo approccio a tale problematica, secondo una loro specifica spontanea visione personale, connessa al loro vissuto “veneziano”, espressa mediante, a scelta:

– uno scritto di max 6000 battute; formato: word; font: Times, 10
– uno o più disegni o vignette; formato JPG o PNG, dimensioni 2048 x 1536 pixel, risoluzione 72 dpi;
– una o più fotografie o collages; formato JPG o PNG, dimensioni 2048 x 1536 pixel, risoluzione 72 dpi;
– un breve video di max 2 minuti, formato MP4, dimensioni 1920 x 1080 pixel, risoluzione 72 dpi.

Si invitano gli studenti a pubblicare tali elaborati attraverso la compilazione del Google Form sul presente website, indicando il loro nome e cognome, l’università cui sono iscritti, il corso di laurea e l’anno di corso.

Buon lavoro

Renato Bocchi

Se vuoi partecipare, clicca qui sotto e compila il modulo:

https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSd54Y12P4NhCQdBsJ0a-QLzXZhDR5JzPxyIneXKJfB3kg4Q4A/viewform?usp=sf_link

Tratto da www.corsoteoriearchitettura.wordpress.com/

Allegato

“Con che occhi guardiamo ciò che ci circonda, l’ambiente in cui viviamo? Quegli occhi, il loro sguardo, condizionano il nostro pensare, pongono confini, delimitano l’esistente: in tali circostanze è possibile guardare oltre, far scavalcare all’immaginazione quei confini, creare dei varchi che sbeffeggino l’esistente autorizzato, sponsorizzato?
Il progetto scaturisce dal tentativo di immaginare un panorama che non c’è, un territorio in cui sarebbe bello vivere – forse è ancora così per qualcuno, per una piccola parte di abitanti, ma potrebbe non esserlo più se non succederà qualcosa che sovverta il processo che appare, ora, inarrestabile.
Confidando sulla forza della parola, delle idee, dell’immaginazione, ciascuno racconta la sua Venezia (intesa a volte come una e trina, anzi, multipla), come vorrebbe che fosse, come ci si trova, in che modo la vive, come pensa, eccetera. Ogni brano è un modo personale di descrivere il proprio abitare, di criticare l’esistente ma non in modo sterile, ma proponendo idee, visioni, prospettive di cui abbiamo smesso di occuparci in quanto obbligati a occupare un compromesso esistenziale che ci garantisca ossigeno.
Non si tratta di un desiderio ristretto confinato alla città: è un progetto che coinvolge tutti, nessuno escluso, che apre domande e azzarda risposte sui perché abitiamo e subiamo decisioni e pianificazioni infelici e colpevoli, che riducono i territori in luoghi funzionali al consumo di merci, alla fruizione predatoria monetizzata: qui come altrove. C’è ancora possibilità di riscatto, e questa deve però attraversare i vissuti, la critica, la memoria, per avere uno sguardo e delle idee felici, umane: vorremmo diventasse un documento fruibile, un raggruppamento di intelligenza che possa scatenare desideri, utopie, che riaffermi il diritto a esigere qualcosa che non c’è ma che potrebbe esserci, a patto che lo si ipotizzi, lo si intraveda, lo si chieda.
Crediamo che qualcuno si debba assumere la responsabilità di smascherare l’assurdo, e ci piacerebbe scatenare desideri, confrontarci con chi ci leggerà, misurarci con altre istanze, discutere e assumere alterità in isolamento. Ecco cosa vorrebbe diventare questa raccolta: un laboratorio in cui si discute di quello che c’è, di quello che manca, di cosa si potrebbe fare se si desiderasse farlo per davvero”.

(Cristiano Dorigo e Elisabetta Tiveron, Prefazione, in: La città che vorrei, Helvetia, Venezia 2018).

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